Pubblicata su Il Foglio di oggi.
Al Direttore.
Per vincere non bisogna aver paura di perdere.
Come è appena accaduto lì dove si pensava che la destra fosse inespugnabile: a Verona come a Piacenza, a Catanzaro come a Monza. Per non parlare della splendida affermazione di Guerra, e di Pizzarotti, a Parma.
Le persone contano più delle formule, ci dicono le urne. Invece, nella irreale Arena dei commenti, ci siamo troppo abituati a sequenze interminabili di retroscena, di evocazioni di un indistinto “Centro”, di geometrie variabili.
Sono esercizi di debolezze, più che ambizioni per il futuro dell’Italia.
È arrivato il momento di dire “basta”, e lo diciamo a noi stessi prima che ad altri.
A meno di un anno dalle prossime cruciali elezioni politiche bisogna scegliere le priorità, offrendo agli elettori un quadro semplice e chiaro: volete che a governare sia la coalizione sovranista guidata da Giorgia Meloni e Matteo Salvini (con quel che resta di FI a reggere il moccolo) o volete che a farlo sia una coalizione riformista ed europeista, che tenga l’Italia saldamente ancorata alla liberaldemocrazia, allo spazio delle libertà civili e sociali, alla rivoluzione ecologica?
In sostanza, abbiamo il coraggio di superare litigi, incomprensioni e veti incrociati e offrire agli elettori un progetto di governo?
Non abbiamo bisogno di dieci piccoli leader, ne basta uno che sia il nostro candidato premier. Come fu Prodi per l’Ulivo nel 1996. Da qui potremmo partire per costruire programma e coalizione, denunciando i trucchetti di chi vuol stare in coalizione solo per guadagnare opportunisticamente qualche seggio (o vuol starne fuori, per la stessa ragione opportunistica).
Sarebbe anche un modo, questo, per stanare i moderati di centrodestra e porli di fronte alle loro responsabilità: mettersi in scia di Meloni o collaborare con noi a un vero “fronte repubblicano”.
Per noi la figura ideale dovrebbe assomigliare al premier in carica Mario Draghi, ma non intendiamo tirarlo per la giacca. Certamente ne dovrebbe condividere l’agenda politica interna ed internazionale.
Altri possibili candidati e candidate ci sono, tra i leader di partito, tra gli amministratori locali di maggiore rilievo, nel campo aperto della società civile. Potremmo anche convergere sul nome di un outsider (gli Emmanuel Macron o le Sanna Marin non nascono già leader).
Mettiamo “al centro” il programma di governo per il Paese e non il destino dei singoli raggruppamenti. Tutti, arrivati a questo punto, si dovrebbero misurare con questa sfida e chi non ci sta dovrà spiegarlo agli elettori.
Si può tornare a vincere, con qualunque legge elettorale. Ma per farlo dobbiamo costruire una nuova speranza.