Non si impegnò solo ad aumentare la spesa militare fino al 2%: si fece altoparlante delle lamentele americane sul contributo troppo scarso degli europei alla NATO.
Ne parla Riccardo Lo Monaco, uno dei promotori de L’Italia c’è, su Strade di oggi.
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Oggi Giuseppe Conte, il caro leader del movimento 5 stelle, eletto con il 94% dei consensi in una competizione che lo ha visto unico candidato, tuona contro quello che definisce “aumento delle spese militari”.
Ieri, Conte Giuseppe, Presidente del Consiglio, “avvocato del popolo”, trumpista, non solo parlava di “impegni di spesa per il contributo alla NATO”, ma diceva anche che, in fin dei conti, la richiesta di Trump di portare il contributo per ogni singolo paese dal 2 al 4% era più che legittima e fondata sulla necessità di un riequilibrio economico a carico dei paesi europei. Era infatti il 12 luglio 2018 quando l’allora Presidente del Consiglio, nel corso della consueta conferenza stampa di fine vertice (NATO, Bruxelles 11-12 luglio 2018), a commento della richiesta avanzata da Donald Trump di portare il contributo dei paesi membri dal 2 al 4% rispondeva che “l’Italia ha ereditato degli impegni di spesa per quanto riguarda il contributo alla Nato che noi non abbiamo alterato“, aggiungendo che “oggi non abbiamo deliberato di offrire ulteriori contributi rispetto a quello che è già predeterminato da tempo”, rispettando di fatto il “Defence Investment Pledge (impegno per gli investimenti nella difesa) varato nel 2014”.
Un Presidente del Consiglio che, mentre confermava l’impegno del 2%, prestava il fianco, unico tra gli europei, alle doglianze americane del suo grande amico e sponsor Donald (“però il problema sollevato dal presidente Trump esiste”), rivestendo i panni dell’avvocato del popolo (in questo caso quello dell’America trumpista): “voglio dichiarare pubblicamente che nel momento in cui gli Stati Uniti dicono che loro contribuiscono alle spese per la difesa in modo eccessivamente gravoso per la loro nazione rispetto ai contributi degli altri paesi, dicono qualcosa che corrisponde alla realtà. Di fatto è un contributo di gran lunga più rilevante”.
Insomma un Conte che, come il Duca della Forcoletta, non lasciava al 2% ma raddoppiava al 4: “il problema posto di un riequilibrio economico non possiamo dire che non esiste, anche perché la NATO nel corso degli anni ha subito un’evoluzione, ha visto evolvere la sua fisionomia, ma anche la sua vocazione, la sua struttura organizzativa e anche le strategie operative, e – torna l’Avvocato Duca Conte – giustamente gli Stati Uniti dicono «oggi la NATO è molto concentrata anche sulla difesa degli interessi europei, e quindi non ci sembra del tutto proporzionato mantenere questa forma di contribuzione secondo questo criterio proporzionale».
Ovviamente il Conte Presidente del Consiglio sapeva e ricordava che all’interno di quel contributo del 2% rientrano “anche i costi degli interventi e delle missioni internazionali a cui l’Italia prende parte”, e sosteneva che sarebbero dovute rientrare anche le spese di intelligence (“l’Italia è un security provider”), ma se oggi gli fanno notare che quell’impegno del 2% ricomprende anche i più che necessari costi per la cybersicurezza, lui fa spallucce, mette a posto la pochette e tira dritto; lui è quello che (oggi) dice “no all’aumento delle spese militari”, perché un conto è rivestire il ruolo di capo del governo che deve mantenere gli impegni internazionali, altro è mettersi alla guida di un movimento che, inseguendo suggestioni pur di recuperare qualcosa dell’enorme consenso perduto, rischia di far cadere (o magari vuole far cadere) l’unico governo oggi in grado di resistere alle influenze putiniane e mantenere salda la vocazione atlantista del Paese.